di Evi Mibelli.
Fare un ritratto a Michele De Lucchi non è semplice. Da sempre, da quando ancora giovane conquista la scena internazionale del design, la percezione che se ne coglie è quella di una persona timida, pacata, a tratti sfuggente. Eppure, lo si vede tra la fine degli anni ’70 e l’inizio degli anni ’80 impegnato prima con i protagonisti fiorentini dell’Architettura Radicale, come Lapo Binazzi, Adolfo Natalini, Gianni Pettena, e i milanesi Andrea Branzi e Alessandro Mendini, poi con Memphis ed Ettore Sottsass.
Poltrona First, 1983 – Kristall Occasional table, 1981. Memphis
Parliamo di avanguardia e di posizioni fortemente critiche e ribelli nei confronti del mondo culturale e progettuale dell’epoca. Indimenticate furono, per esempio, le sue performances e installazioni quando faceva parte del Gruppo Cavart di cui era uno dei fondatori.
Evidentemente a dispetto di un aplomb degno di un monaco zen, l’anima di De Lucchi era – ed è – un vulcano in piena attività. Questa sua capacità di muoversi laterale, di pensare e progettare in chiave proiettiva è una delle sue unicità e, probabilmente, la ragione di un successo che gli ha consentito di spaziare dal design all’architettura e viceversa, incidendo in modo indelebile nella storia e nella cultura dell’abitare degli ultimi quarant’anni, in Italia e all’estero.
Ponte della Pace, Tbilisi, Georgia, 2010; foto AMDL CIRCLE
Oggi, 8 Novembre, ricorre il suo settantesimo compleanno. Ferrarese di nascita, s’iscrive alla Facoltà di Architettura di Firenze dove si laurea, nel 1975, con Adolfo Natalini, citato poc’anzi. L’incontro della vita è quello, però, con Ettore Sottass. È il 1978.
Entra nello studio del Maestro e viene subito presentato alla Olivetti (dove avvierà una collaborazione durata sino al 2002) e, contestualmente, coinvolto nello storico gruppo Memphis. Attraverso questa fondamentale esperienza formativa si definiranno gli ambiti in cui, negli anni successivi, metterà a frutto la sua fervida progettualità: il design di prodotto e l’immagine coordinata aziendale.
Padiglione Zero, Expo 2015, Milano; foto AMDL CIRCLE
Ha disegnato per Artemide, Alias, Unifor, Vitra, Poltrona Frau, Alessi (per citarne alcuni) e ha ridefinito l’immagine aziendale per società come Poste Italiane, Telecom Italia, Hera, Intesa Sanpaolo, Unicredit.
A partire dalla metà degli anni ’90 entra prepotentemente nel mondo dell’architettura portando significativi contributi al dibattito intorno al ruolo dell’architetto e del disegno del paesaggio ambientale, sociale ed economico contemporaneo, passando da committenze private e pubbliche, come nel caso del Ministero degli Affari Interni della Georgia e il Ponte della Pace a Tbilisi, ai progetti dei padiglioni per Expo 2015 e l’Unicredit Pavilion in piazza Gae Aulenti a Milano (per citarne alcuni tra i tanti).
Lampada da tavolo Tolomeo, disegnata per Artemide 1987. Premio Compasso d’Oro 1989
Parlando di design: “Parto da un bellissimo pensiero di Achille Castiglioni che diceva che gli oggetti, per funzionare, devono saper suscitare curiosità, divertimento, affetto e simpatia. È il ricordo più bello che conservo di lui. Aveva un concetto autentico, molto chiaro e vero. L’attualità del suo lavoro è la dimostrazione di come il design, quello quotidiano, sembra non preoccuparsi affatto delle grandi discussioni teoriche che lo interessano”.
In sostanza il compito del design è dare un senso agli oggetti, che non significa solo ridursi a una questione di funzionalità, di riproducibilità industriale, di marketing e di economia, di ecologia. “Uno dei grandi compiti del design è saper interpretare, percepire il contesto e trasformare gli oggetti in testimoni vivi della realtà che ci circonda” dice De Lucchi.
Produzione Privata, sgabello impilabile Bisonte collezione Outside of this world, 2005
È una necessità, un imperativo trovare il nesso tra l’intimo mondo del progetto e il disincanto del mondo dei consumi, dove alla fine tutto si getta e si perde. I prodotti devono contenere sentimenti e umanità, valori che contrastano con l’indifferenza del prodotto standardizzato.
Ecco spiegata la sua costante tensione mediatrice tra tecnologia e artigianato, che lo porterà a creare, nel 1990, il laboratorio/brand Produzione Privata. È il tentativo, riuscito, di riprodurre in chiave attuale la bottega rinascimentale, unendo progresso tecnico e curiosità nell’esplorare territori ignoti, dove tutto è in divenire e ricco di infinite possibilità.
A sinistra, Briccolone, libreria freestanding, Riva 1920, 2011. A destra, Vaso Marianne, Poltrona Frau, 2018
Di una cosa è certo: “L’uomo cercherà sempre e non smetterà mai di essere contemporaneo”. Il design fa parte di questo processo, anzi è quello che meglio aiuta l’immaginazione, la tensione a pensare a ciò che verrà. Il grande tema è sempre l’equilibrio tra l’emozione e la razionalità, e viceversa. È una continua ricerca del punto zero di quiete. Ed è li che si cela la poesia, la bellezza, la differenza, la sospensione del tempo. Per poi nuovamente mutare, rilanciare oltre.
Quel punto di quiete spiega il successo, per esempio, di una lampada come la Tolomeo disegnata per Artemide, che a distanza di quasi 35 anni resta l’emblema della perfezione dove, neppure il tempo, sembra posarvi sopra la polvere. È un diamante. Scintilla.
Un premio Compasso d’Oro 1989 (seguito poi da quello del 1991 e 1994). Oltre alla citata Tolomeo, l’elenco degli oggetti progettati e prodotti che portano la sua firma è davvero lunghissimo, molti dei quali sono esposti nei più importanti musei di design internazionali, tra cui il Centre Pompidou che nel 2003 ne ha acquistato un numero considerevole in forma permanente.
Caffettiera in alluminio PULCINA disegnata per Alessi, 2015
Divano Trigono, Alias, 2019
Tornando alla contemporaneità, mai come in questi due anni, ci ritroviamo davanti a un orizzonte completamente mutato, con riferimenti saltati e un’incertezza generalizzata. Il virtuale ha sue oggettive potenzialità. È uno strumento utile per lavorare, evita dispendiosi spostamenti in termini di tempo, di economia, di ecologia. Ridisegna anche la casa, l’intimità e il privato: “Gli spazi dell’abitare torneranno centrali. La casa non sarà più un semplice luogo dove tornare a dormire, un rifugio dove fermarsi per ripartire il giorno successivo. Si amplieranno e saranno più confortevoli”.
Mancano tuttavia gli incontri con il portato di emozioni e di scambio attivo e spontaneo. Soprattutto va affrontato il tema della nostra relazione con l’ambiente, in una ottica di scambio e di equilibrio osmotico.
City Station, interno. La ricerca Earth Stations si compone di sei progetti architettonici di cui la City Station rappresenta una nuova concezione dello spazio lavoro
A questo proposito, nulla risulta più interessante e significativo del progetto Earth Stations che si pone come un manifesto/ricerca (nato nel 2018) che si focalizza sull’evoluzione del concetto di funzione nell’architettura e sul bisogno di costruzioni simboliche. De Lucchi immagina un’architettura inserita in paesaggi differenti con la volontà di comunicare positività e fiducia nel futuro.
City Station, esterno
Le Earth Stations altro non sono che l’evoluzione del tema dell’Abitare, della qualità di vita dell’uomo sul pianeta ampliata e inclusiva del rapporto Uomo-Natura-Tecnologia. Le Stazioni s’inseriscono in differenti condizioni climatiche e luoghi con lo scopo di riverberare il significato del rapporto dell’uomo con la Terra, cui dobbiamo la sopravvivenza e di cui dobbiamo prenderci cura.
In un tempo dove sembrano mancare direzioni, prospettive, fiducia nel cambiamento c’è chi ha il coraggio di guardare all’architettura del futuro, all’Uomo e al nostro pianeta. Grazie per non aver perso la forza del sogno, Michele De Lucchi.
In copertina, Michele De Lucchi, foto Archivio Produzione Privata