di Evi Mibelli.
“Voglio disegnare oggetti talmente semplici da suscitare stupore”. Sgombriamo il campo da una facile etichettatura. Spesso parlare di semplicità fa pensare a un approccio minimalista al progetto. Che sia design o architettura. Il problema, come sempre, è quel confine estremamente labile che separa l’essenziale dal manierismo.
Non a caso Christophe Pillet lo dichiara apertamente: “La semplicità è il risultato di un lungo e complesso percorso. Vuol dire riuscire a suscitare emozioni con pochi elementi”.
Coll. Chic Chair per Profim, 2017.
Ed emozionare è assai difficile. Bisogna saper toccare corde profonde che un atteggiamento di “maniera” non è in grado di far risuonare. La sua mano, il suo tratto sono, invece, testimonianza di una sensibilità rara e di una visione poetica dell’abitare. Non c’è ricerca estetica fine a se stessa ma un’equilibrata alchimia tra bisogno, funzione e creatività.
Vetrina a giorno Galerist per Lema, 2014.
Christophe Pillet, nasce il 28 agosto del 1959 a Montargis, in Francia. Si diploma nel 1985 alla Scuola di Arti Decorative di Nizza e l’anno successivo consegue il master in Design alla Domus Academy. Confessa che, da giovanissimo, al design non aveva mai pensato come a una professione.
Pensava di dedicarsi alla musica. Salvo poi conoscere il gruppo Memphis che ha definito “un gruppo rock del design”. È la svolta. Conseguito il Master alla Domus Academy entrerà nel gruppo Memphis, affiancando come assistente Michele De Lucchi e Martin Bedin.
Hotel Sezz a Saint Tropez, Francia, 2010.
Dopo questa esperienza, rientra a Parigi nel 1988 e diventa collaboratore di un altro padre ispiratore (anche se li separano solo dieci anni) del design contemporaneo: Philippe Starck. Ne ammira la genialità, l’anticonvenzionalità, la capacità di coniare un nuovo linguaggio progettuale.
Tuttavia, inizia a lavorare su un proprio vocabolario espressivo e nel giro di pochi anni decide di entrare da protagonista nel mondo del design. Apre nel 1993 il suo studio dando vita a una carriera ricca di successi, premi e formidabili progetti.
L’esordio da “giocatore libero” non poteva che essere esplosivo: viene eletto “Créateur de l’année” in occasione del Salon du Meuble de Paris nel 1994, ed è il primo di una lunga serie di prestigiosi riconoscimenti che conseguirà in tutto il mondo, e che lo porteranno a esporre le sue opere in numerosi e importanti musei come il Centre Georges Pompidou di Parigi e il Museo delle Arti Decorative di Lucerna.
Lounge chair, coll. Nouvelle Vague per Porro, 2008.
Si cimenta in più ambiti progettuali spaziando dal product design, agli allestimenti, alle scenografie e all’interior, sino alle architetture, sia di carattere privato ma, soprattutto, nell’ambito dell’ospitalità.
Osservando, per esempio, alcuni dei suoi più prestigiosi alberghi come l’Hotel Sezz a St. Tropez o il Sahrai a Fez, in Marocco, si scopre quanto la sua sintesi estetica si regga su una sensibilità capace di creare atmosfere dove passato e futuro si mescolano in un magico equilibrio.
L’uso dei materiali locali, le cromie che riverberano la luce dandogli corporeità, il disegno degli spazi e degli arredi che sembrano sospendere il tempo ma, al contempo, creare un legame con l’identità del luogo e la sua cultura abitativa.
La terrazza con il portico ad archi dell’Hotel Sahrai, a Fez, Marocco (photo Klaus Mellenthin).
Non c’è mai il desiderio di autocelebrarsi con “colpi d’ardimento”. C’è, invece, la capacità di sottrarsi ai riflettori, lasciando spazio a un diffuso e pervasivo senso di pace. È questo il fil rouge che caratterizza la sua filosofia progettuale sin dai primi passi e mano mano sempre più definito e autorevole.
Che applica anche al mondo degli arredi e degli oggetti: “Un oggetto non ha l’obbligo di essere strano o di parlare troppo per funzionare. È come quando si racconta una storia: bisogna scegliere bene vocaboli e tono. Non servono troppe parole per emozionare”.
Hotel Casa Paradisu, Monticello, Corsica, 2022.
Altresì sostiene che per potersi esprimere e portare avanti una propria visione del vivere e dell’abitare sia indispensabile entrare in relazione con le persone, condividerne le aspettative e le esigenze.
E trovare, soprattutto, interlocutori professionali (leggasi aziende) sensibili e aperti: “È come una relazione di coppia dove sono le affinità elettive a guidare l’unione. La qualità e la sintonia sugli obiettivi nella collaborazione tra designer e azienda sono determinanti per la riuscita di un’idea”.
Coll. Any-Day per Flexform, 2021.
A testimonianza di tale approccio, le sue collaborazioni con le aziende più importanti nel mondo dell’arredo e del design. Lavora per Cappellini disegnando, tra le altre, la poltrona Sunset e il divano e tavolini High Time. Per Flexform disegna la serie di sedie Echoes S.H. e Any Day, mentre per Driade realizza la famiglia di arredi Meridiana.
Ampia anche la produzione nel mondo dell’outdoor insieme a Emu, Varaschin, Flexform e di recente con Talenti. Non manca il mondo della luce, dove mette a segno prodotti come la lampada Niwa, Plume e Berlin per Oluce.
Poltroncina Memory Lane per Tacchini, 2018.
E ancora Lema, Kartell, Tacchini: l’eleganza e la lucidità espressiva di Christophe Pillet sono ormai un dato acquisito nel panorama contemporaneo del design. E non smetterà di sorprenderci nel futuro prossimo. Così ci auguriamo.
La sua è una genialità gentile di cui c’è grande bisogno per rendere il mondo quotidiano uno spazio abitato da una sobria e pacata bellezza. Un luogo dove il silenzio dell’armonia diventa musica.
Coll. Kha & Boogie per Verywood, 2022.
In copertina, Christophe Gillet (photo Flexform)