national geopark museum

Icone di Design – Odile Decq

di Evi Mibelli.

“Senza assumere rischi non si può immaginare il futuro”.

Veste di total black, ha una capigliatura leonina e occhi bistrati. Il nero è il suo colore. È lei, l’inconfondibile Odile Decq, la signora gotica dell’architettura contemporanea. Nasce a Laval, in Francia, il 18 luglio del 1955. Inizia la sua formazione coltivando la naturale inclinazione per la storia dell’arte, tanto da arrivare a voler intraprendere un corso di laurea nella materia. Ma l’incontro con nuovi amici, tutti studenti di architettura, le farà cambiare idea. Appassionandola.

Dal carattere ribelle e anticonformista, comunicherà al padre la sua volontà di volersi dedicare agli studi di architettura. Decisione contestata dalla famiglia che riteneva la professione di architetto non adatta a una donna. Cosa abbia deciso di fare lo racconta la sua straordinaria carriera.

Banque Populaire de L’Ouest e d’Armorique, a Rennes. Vista notturna,1990. Photo Studio Odile Decq.
Banque-Populaire-de-LOuest-e-dArmorique

Gli anni che seguirono la sua decisione di infrangere le aspettative paterne, furono di sperimentazione, di studio e di approfondimento delle correnti radicali che stavano caratterizzando la scena dell’architettura europea a cavallo tra gli anni ’70 e ’80. Si laurea a Parigi, nel 1978, specializzandosi in urbanistica all’Istituto di Studi Politici. L’incontro e l’associazione professionale (e anche nel privato) con Benoît Cornette, agli inizi degli anni ’80, darà vita a uno dei migliori studi di architettura di Francia, conosciuto come ODBC (acronimo delle iniziali dei due associati).

Phantom Restaurant, Opera Garnier, Parigi, 2011. Photo Roland Halbe-Odile Decq. 
Phantom Restaurant, Opera Garnier

Showroom Apple, a Nantes, 1989. Photo Studio Odile Decq.
showroom apple nantes

Odile Decq racconta come quegli anni siano stati formidabili sul piano della sperimentazione, del clima e del fermento creativo intorno all’architettura ma anche della scena culturale, artistica e musicale internazionale. Erano gli anni del punk, del Goth, della Newave, dell’electrodark e Londra rappresentava il polo fondamentale per gli amanti del genere. I due giovani e brillanti architetti attraversavano spesso la Manica per vivere le notti underground londinesi e per chi ha masticato il mondo dark e punk non possono sfuggire i riferimenti a Siouxsie and Banshees e ai Sister of Mercy per i quali la Decq ha sempre nutrito una certa predilezione. Di giorno, invece, studiavano le architetture di Richard Rogers, di Peter Cook, di Jane Drew e delle avanguardie anglosassoni del periodo.

A sinistra, Marée noire, Vaso in porcellana per Maison Bernardaud, disegnato per una charity auction in collaborazione con Paris Tout P’tits; a destra, Splash, tavolini da caffé in serie limitata disegnata per Galerie Philippe Gravier, 2019. Photo Stefan Tuchila.
vaso porcellana e tavolini caffe colorati

Tra i progetti che portarono alla ribalta il duo Odile Decq e Benoît Cornette troviamo la sede amministrativa della Banque Populaire de L’Ouest e d’Armorique, a Rennes (inaugurata nel 1990 e salvata dalla demolizione nel 2015 grazie a una petizione internazionale). Ci troviamo davanti a un grande scheletro di metallo completato da componenti industriali che vanno a costituire l’involucro. La facciata principale è composta da moduli di vetro schermato e da parasole distanziati dalla struttura vetrata attraverso un sistema di tralicci. Il risultato è un edificio dalla chiara matrice hi-tech, aspetto che ricorrerà anche nei progetti successivi della Decq, a cui aggiungerà altre fonti ispiratrici e linguaggi, andando a comporre un alfabeto stilistico personalissimo.

Twist Again – portafrutta disegnato per Alessi. Photo Odile Decq, 2014.
twist again alessi portafrutta

Si ritrovano richiami al decostruttivismo ben rappresentato da Rem Koolhass, Zaha Hadid, Daniel Libenskind ma è sempre filtrato da una visione libera e anarchica. Mai scontata. E d’altronde è sua l’affermazione che: “ non credo esistano Maestri in nessuna disciplina al mondo, e che l’ispirazione può arrivare da qualunque direzione e da qualsiasi contesto. Ciò che è il risultato di una architettura è la somma di numerose convergenze”.

A sinistra, Saint Ange Residence Seyssins, Francia. 2015; a destra, Twist, palazzo per uffici, 2019. Parigi Clichy Batignolles. Photo Roland Halbe.
Saint-Ange-Residence-Seyssins-eTwist-palazzo-per-uffici

Gli anni ‘80 vedono la coppia impegnatissima nella realizzazione di diverse opere di una qualità funzionale ed estetica elevatissima, e nella partecipazione a numerosi concorsi internazionali dove si consolida la loro visione futurista e tecnologica dell’architettura, con le facciate che paiono staccarsi dalla struttura principale e librarsi letteralmente nell’aria. La visione iper-tecnologica e a tratti dark la ritroviamo negli uffici della Apple a Nantes (1990) o nel padiglione francese progettato per la Biennale di Venezia del 1996. Questo allestimento è valso a Odile Decq il Leone D’Oro per l’Architettura.

MACRO Museo d’arte contemporanea, Roma 2015. Photo Jean Pierre Dalbéra.
macro museo roma

Nel 1998 avviene una frattura insanabile tra ciò che è stato il prima e il dopo della sua carriera. Un incidente gravissimo, in cui la stessa Odile Decq è coinvolta, vede la morte del compagno di lavoro e di vita. Seguono anni difficili di ripresa fino a quando decide di chiudere lo studio ODBC e aprirne uno a suo nome. È il 2003. Del periodo è la realizzazione dello spettacolare Phantom Restaurant all’interno dell’Opera Garnier di Parigi.

Un progetto che impone un taglio deciso tra passato e futuro. Ma non in senso traumatico, semmai una sorta di gioco tra continuità e contrasto, tra scala urbana e scala architettonica (ricordiamo che ha una formazione anche da urbanista). Un’onda fluida s’insinua nello spazio austero del teatro e ne altera completamente la natura spaziale. Un approccio analogo è quello applicato nella progettazione del MACRO a Roma (2015).

MACRO, interno del Museo d’Arte Contemporanea, Roma, 2015. Photo Odile Decq – L. Filetici.
interni macro museo roma

Una riqualificazione di una vecchia fabbrica di birra trasformata in museo di arte contemporanea. L’edificio storico è stato letteralmente sventrato conservandone solo la facciata su strada. Un grande parallelepipedo di acciaio e vetro si inserirà nel lotto rimasto vuoto. Il tetto è concepito come una vetrina open air sull’arte, mentre l’interno è caratterizzato da percorsi aerei pensati per far percepire lo spazio attraverso il corpo, quasi vi galleggiasse.

I medesimi percorsi, inoltre, rappresentano una mappa di sentieri fluidi, quasi organici, che permettono letteralmente di “attraversare l’arte” come fosse parte costitutiva del paesaggio museale. Tolti i percorsi domina il vuoto. I tratti distintivi sono sottolineati dal colore rosso degli elementi volumetrici (che con il nero rappresentano le cromie predilette dall’architetto), una sorta di firma che la Decq appone sulle sue opere.

Restaurant Antares Le Grand Café Rouge, Barcellona, 2019. Photo Odile Decq
Restaurant-Antares-Le-Grand-Cafe-Rouge-Barcellona

Non mancano nella sua esperienza di architetto anche piccoli progetti, ristrutturazioni e abitazioni private. Come pure design di oggetti (vedi Alessi e Luceplan). Non le interessa la fama o l’accaparrarsi lavori di prestigio, per lei conta che il progetto offra stimoli e che permetta all’architetto di “pensare al domani, essere curioso sul mondo al di là dell’odierno orizzonte e scoprire come la società si svilupperà. Un architetto non costruisce mai per l’oggi. Qualsiasi sia la scala del suo intervento”.

Norman Foster, David Chipperfield, Zaha Hadid, Renzo Piano, Frank Gehry, Philippe Starck sono considerate vere archistar del panorama architettonico contemporaneo. A Odile Decq è stato chiesto se si considera tale, visto il successo, i premi conseguiti tra cui il Jane Drew dedicato alle donne architetto più influenti nel mondo, il prestigio delle commesse acquisite, le opere realizzate.

Questa la sua risposta: “Lavoro al massimo con una dozzina di persone. Non potrei mai gestire un ufficio con 80/100 persone perché questo richiederebbe una gerarchia e io non voglio nessuna gerarchia all’interno del mio studio. Non mi interessa diventare una archistar. È un’ambizione stupida. L’architetto non è una star, è una persona che aiuta altre persone a vivere meglio. Poi può succedere che diventi famoso e questo, semplicemente, significa che più persone decideranno di venirti a chiedere aiuto. Se fai l’architetto non lavori per te stesso ma per gli altri”. Lezione preziosa.

Odile Decq durante una lezione alla Columbia University, New York, Usa.
ritratto odile decq designer

In copertina, Tangshan Fangshan National Geopark Museum, 2015. Cina.

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