Il design inclusivo è un approccio alla progettazione che sta iniziando a farsi sentire nel mondo del design. Si presenta come alternativa all’impostazione “classica” della professione dove il design, in qualità di disciplina industriale, si sviluppa prevalentemente intorno al prodotto e come una risposta ai requisiti tecnici e funzionali delle aziende (una filosofia che si definisce ‘product centered’).
L’alternativa è l’idea di un design ‘human centered’, ovvero che usi come punto di partenza non il brief dell’azienda ma una ricerca sulle reali necessità dell’utente finale. L’idea è di mettere al centro la persona e le sue esigenze e di adattare di conseguenza il design e il prodotto. Il Design inclusivo fa un’ulteriore passo: si propone di rendere il design accessibile e usufruibile dal più vasto pubblico possibile.
Render del progetto Inclusive Teahouse di Elena Colombo
L’espressione ‘Inclusive Design’ è stata usata per la prima volta da Roger Coleman, professore del Royal College of Art, nel 1994; il suo lavoro si rivolgeva in particolare al design per le persone anziane ma il suo approccio alla progettazione si può estendere in realtà a tutti gli utenti con esigenze speciali.
Ancora oggi, nonostante sempre più iniziative sembrino muoversi in questa direzione, il design inclusivo sembra rimanere un tema di nicchia. Si tratta però di una tendenza di cui si inizia a capire l’importanza, come dimostra la vittoria di Elena Colombo al prestigioso Arte Laguna Prize del 2019.
Elena, classe 1994 e laureata in Design del Prodotto all’Università di Ferrara, ha vinto grazie al suo progetto di laurea Inclusive Tea House. Si tratta di una serie di oggetti pensati per facilitare il servizio al tavolo e il rapporto con il cliente in una una sala da thè gestita da ragazzi con disabilità.
Prototipo del servizio da thè inclusivo
“È partito tutto da una famiglia del mio paese – Cento, Emilia Romagna – che voleva aprire una sala da thè per aiutare l’inserimento lavorativo delle persone con disabilità” racconta Elena. “Di solito le persone con disabilità cognitive vengono messe a lavorare in fabbrica o a fare altri lavori meccanici.
Loro invece volevano promuovere un’idea di lavoro che aiutasse questi ragazzi ad essere più autonomi e autorevoli e dove ci fosse contatto con l’altro. Il mio progetto è nato come un modo per aiutare loro”.
Una ragazza durante uno dei workshop che hanno permesso di sviluppare il progetto
Una lunga fase preliminare di ricerca, worskshop e interviste – sia con le persone disabili sia coi loro familiari – ha permesso ad Elena di comprendere da vicino le esigenze delle persone disabili e di osservare le difficoltà che le potevano incontrare nel servire il thè: difficoltà a scrivere, a tenere a mentre le ordinazioni, a trasportare acqua bollente e oggetti pesanti…
Il progetto si è quindi sviluppato con l’idea di rendere queste operazioni semplici e accessibili a tutti, a prescindere dal tipo di disabilità. “Volevo che tutti potessero essere inclusi” spiega Elena.
Dettagli dello schema di simboli e colori che permette di semplificare le ordinazioni
I colori sulle tazzine e sui tester rappresentano un linguaggio universale che permette ai camerieri disabili di prendere ordinazioni in modo semplice e immediato (oltre che molto più intuitivo anche per il cliente). I colori sono abbinati a simboli che rendono lo schema accessibile anche a persone cieche o ipovedenti.
Il problema del trasporto invece si risolve con un sistema che permette di preparare il thè direttamente al tavolo e al cliente di servirsi autonomamente attraverso una piccola leva.
“La cosa che mi ha dato più soddisfazione nel vincere l’Arte Laguna Prize è stato vedere come fosse stato riconosciuto il significato del prodotto, la sua umanità” continua Elena.
Dettagli delle tazze e della teiera
Elementi che lei stessa ha visto spesso mancare nel mondo del design e che l’hanno portata ad allontanarsi dal design del prodotto per avvicinarsi invece al design del servizio. “Il concetto di inclusività è poco sentito a livello di design. Anche all’università era un tema che non si affrontava molto. Non c’era l’idea che si potesse creare qualcosa per aiutare un’altra persona”.
Dopo la Laurea, Elena ha continuato a dedicarsi a progetti legati al tema dell’inclusività tra cui Design for All, un’iniziativa che ha coinvolto architetti, designer e persone sorde nella creazione di una linea di prodotti ricavata da scarti industriali.
“In un contesto con persone con disabilità emerge chiaramente come gli spazi e gli strumenti che utilizziamo tutti i giorni non siano inclusivi, perché non si adattano alle esigenze di queste persone” spiega Elena.
Elena Colombo durante la premiazione dell’Arte Laguna Prize. Foto: Antrax it
Difficoltà magari palesi in contesti come l’utilizzo dei mezzi pubblici ma che si nascondono anche in tante piccole operazioni quotidiane, come dover aprire una finestra. La maggior parte degli oggetti che usiamo tutti i giorni non è fruibile – quantomeno non facilmente! – per persone con disabilità motorie e cognitive.
Progettare tenendo in considerazione fin dal principio le esigenze particolari di categorie come le persone disabili non significa solo progettare per quello specifico gruppo di utenti ma risolvere una serie di necessità che possono influenzare anche tutti gli altri fruitori.
In questo senso, il Design inclusivo può sicuramente aiutare ad eliminare molte barriere che ancora esistono e ad accogliere la diversità come un elemento tanto essenziale quanto intrigante tanto della progettazione quanto della vita di tutti i giorni.