Disegnare mobili, progettare interni, creare nuove lampade e divertirsi a inventare complementi: il lavoro del designer è forse uno dei pochi che non conosce confini né limiti. La sua creatività infatti può spaziare dagli arredi all’interior decoration, dall’allestimento di una mostra alla concezione di un nuovo format espositivo. È affascinante l’idea di poter vivere del proprio lavoro creativo, che si sviluppa e cresce seguendo sentieri diversi dagli impieghi più tradizionali. Ma oggi in Italia come si diventa designer? E quali sono le maggiori difficoltà che si incontrano?
Per capire meglio cosa significhi essere e lavorare oggi come giovane designer emergente, abbiamo incontrato Giuseppe Arezzi, che ha esposto come designer finalista del Pure Talents Contest durante l’ultima edizione della fiera IMM di Colonia.
Progetto Manic#, autoprodotto nel 2012. Foto: Melissa Carnemolla
Nato a Ragusa, classe 1993, cresce nell’azienda di famiglia, specializzata nella progettazione di cucine su misura. L’odore e le diverse essenze del legno, le tante riviste di arredamento e di design gli fanno compagnia per 12 anni, prima di trasferirsi al Politecnico di Milano. Nella scuola meneghina ha la fortuna di seguire i corsi tenuti da Andrea Branzi e Michele De Lucchi e di fare poi la tesi con Francesca Balena Arista e Francesco Faccin.
Durante gli anni di studio, che lo portano poi a diventare Cultore della Materia nel 2016, Giuseppe Arezzi capisce subito l’importanza di avere una strategia. Come ci ha raccontato, “se vuoi diventare un designer, devi avere un obiettivo finale ben in mente, ed elaborare il metodo migliore per raggiungerlo nel modo più veloce possibile. In Italia non ci sono aiuti o finanziamenti per designer, quindi ci sei solo tu e le tue energie. Invidio molto i designer scandinavi che sono supportati da aziende locali, in Italia anche quando hai 40 anni sei sempre considerato un giovane emergente”.
Progetto Binomio. Foto: Studio Giunta
Quindi come farsi conoscere sul mercato e soprattutto dalle aziende di design? Giuseppe Arezzi ha le idee molto chiare. Da una lato bisogna creare una rete di relazioni che ti permettano di conoscere maestri della materia, e farsi trasmettere tutto il loro sapere.
Quindi scegliere un buon corso di studi, e rimanere tuttavia fedeli a se stessi e al proprio approccio creativo. “Quando ho discusso il mio progetto per la tesi di laurea “Beata Solitudo”, un professore non riusciva a capirne il senso, lo trovava poco accademico solo perché era un progetto sperimentale.
Ma è stato poi grazie a questo mio lavoro che sono stato scelto per partecipare al progetto “Una stanza tutta per sè”, curato da Domitilla Dardi per il Cantiere Galli Design a Roma nel 2017. E dopo quella mostra, sono poi stato chiamato a trasferirmi a Parigi per il progetto “Promesse dell’Arte” promosso dall’Istituto Italiano di Cultura a Parigi”.
Progetto “Beata Solitudo” di Giuseppe Arezzi per la mostra Una Stanza Tutta Per Sè a cura di Domitilla Dardi nel Cantiere Galli Design. Foto: Francesco Conti
Da queste esperienze Giuseppe Arezzi ha capito quanto sia importante, per un giovane designer, cercare di esporre i propri lavori, soprattutto all’estero. “In Italia succede molto spesso che ti chiedano dei soldi per partecipare a mostre come designer: questo lo sconsiglio vivamente. Se paghi, rischi di diventare poi un numero tra tanti altri espositori, mentre se vieni invitato allora fai parte di un gruppo ristretto e avrai di conseguenza tutta la giusta attenzione”.
Impegno, forte volontà e la giusta dose di caparbietà: sono doti che al creativo italiano di certo non mancano. E lo dimostrano i successi che ottiene in seguito: il suo progetto finale, come lavoro conclusivo della sua permanenza a Parigi, lo chiama “Binomio” ed è lo stesso che poi espone alla fiera Imm di Colonia. È una sedia, che funge anche da tavolo, piano di appoggio, appendiabiti e piccola libreria. Un mobile multifunzionale, in legno massiccio lavorato a mano, che durante la kermesse tedesca ha riscontrato molto successo.
Progetto Solista. Foto: Studio Giunta
Oltre all’esperienza di Parigi, merita di essere citata la collaborazione con l’azienda siciliana Desine di Granmichele (città nella provincia di Catania dalla forte tradizione artigianale nell’ebanisteria), per la quale progetta il servomuto Solista, in legno di castagno massello, lo stesso che viene poi esposto alla mostra Edit di Napoli nel 2019.
E altre mostre, come quella a Como dove incontra la curatrice ed editrice Margherita Ratti, con la quale ora sta lavorando a un nuovo progetto. E il lavoro, insieme a Emanuele Magenta, chiamato “PerPetUrn”: un’urna per ceneri di animali, creata con una speciale resina inventata da loro, che funge anche come vaso da fiori.
Progetto PerPetUrn, disegnato da Giuseppe Arezzi e Emanuele Magenta. Foto: Nicola Zocchi
Partendo da questo progetto, finalista al contest “Guiltless” organizzato da Rossana Orlandi a Milano, il designer sta ora sperimentando i nuovi materiali impiegati nella vita di tutti i giorni, dalle plastiche alle bio-resine: “il mio approccio al progetto è sempre incentrato sugli stili di vita dell’uomo in relazione alla società che lo circonda, con una forte impronta antropologica”. La sua prossima sfida lavorativa? “Vorrei creare una sedia per il mondo del contract: è un oggetto che tutti disegnano, e proprio per questo mi piacerebbe mettermi alla prova”. Per seguire i lavori di Giuseppe Arezzi – giuseppearezzi.com
Nell’immagine di copertina, Giuseppe Arezzi alla mostra Una Stanza Tutta Per Sè, curata da Domitilla Dardi nel Cantiere Galli Design. Foto di Francesco Conti