Global Warming in casa, vittime o carnefici?
“La terra non appartiene all’uomo, è l’uomo che appartiene alla terra”.
Attle – capo tribù Duwamish
Il Global Warming, un termine che negli ultimi anni è stato forse trattato con superficialità dai mezzi di informazione, quasi brandizzato da un atteggiamento di gatekeeping, ritorna spesso alla ribalta (a maggior ragione in occasione della giornata mondiale dell’ambiente che si celebra domani 5 giugno) e ogni volta con modalità differenti che si coronano di varie correnti di pensiero più o meno autorevoli.
Estate bollente o inverno glaciale, sembra che solo in questi contesti riemerga il tema del cambiamento climatico, per giustificare i gradi in più rispetto alla stagione precedente o la neve sul terrazzo di casa fino ad aprile. Per capire come stanno le cose, e come possiamo contribuire nel nostro piccolo, già tra le nostre mura domestiche, ad un cambiamento di tendenza, lo abbiamo chiesto a Luca Mercalli, esperto di clima e Presidente della Società Metereologica Italiana.
Dire che il clima è cambiato, interpellando chiunque oggi abbia un’età matura, è un’affermazione del tutto banale. Non c’è bisogno di credere o meno a una determinata corrente di pensiero per comprendere tale situazione e per affermare che fa più caldo di trent’anni fa. Ma le persone, sono consapevoli realmente di questo?
Le persone innanzitutto sono poco informate, magari sentono spesso il termine “cambiamento climatico” ma non hanno la minima percezione della dimensione del problema. Me ne accorgo quando faccio una conferenza, e va detto che in quell’occasione comunque mi sto rivolgendo anche ad un pubblico più sensibile e interessato al problema rispetto all’uomo di strada. Alla domanda “chi conosce l’accordo di Parigi?”, ottengo si e no un 5% in media di mani alzate. Figuriamoci la moltitudine delle persone. C’è un’idea un po’ sfuocata che il clima sta facendo i capricci ma non sono assolutamente chiari i nessi.
Lasciando da parte statistiche e grafici sulla percezione dell’ambiente da parte delle persone, a volte preoccupanti quanto le emissioni di CO2 in atmosfera, bisogna a questo punto fare una considerazione sull’efficacia della comunicazione. Forse l’informazione è poco adeguata?
Quando parliamo di clima bisogna fare anche un po’ di didattica, proprio perché il tema del cambiamento climatico non è semplice da comprendere. La poca informazione di livello in ogni caso si scontra con una platea che già reputa difficile comprendere fenomeni molto più semplici, che non hanno bisogno di una lezione universitaria. Lo abbiamo visto con il fenomeno dello smog che interessa molte città del nord, anche senza numeri si dovrebbe capire che nuoce alla salute. Forse ancora non abbiamo trovato una modalità comunicativa efficace.
Sembra quasi, la sensazione è sempre più forte, che il fine ultimo sia comprendere, anche attraverso studi autorevoli, di chi sia effettivamente la colpa, mettendo in secondo piano gli effetti. È un po’ come dire “chi ha svegliato il leone?” Meglio correre piuttosto che pensare a chi sia stato, o no?
Bisogna percorrere tutte le strade possibili. È giusto denunciare e quindi capire che la colpa è insita in tutti i nostri comportamenti a base di energia fossile e consumi superflui, ma questo non deve bloccarci nel lamento o nell’acredine. Bisogna promuovere le soluzioni. Io personalmente seguirei tutte le vie possibili, senza graduatorie di importanza che francamente lasciano il tempo che trovano. Bisogna agire rapidamente.
Oggi l’opinione pubblica e il dibattito politico in generale pongono l’accento sulla problematica dell’inquinamento atmosferico nelle nostre città puntando il dito esclusivamente contro il settore della mobilità e dei trasporti motorizzati in genere. In realtà tra le nostre mura domestiche si attuano dei comportamenti spesso errati che concorrono anch’essi alle emissioni in atmosfera e ci fanno essere sia vittime che carnefici del riscaldamento globale. Un banale rubinetto della doccia, mettendo da parte per un istante il consumo irresponsabile di acqua, se utilizzato male, provoca emissioni. Come? L’acqua che arriva nelle nostre case non proviene direttamente dal cielo ma viene prelevata dall’acquedotto. Ebbene, questo processo richiede una certa quantità di energia che produce emissioni di CO2.
Qualcuno potrebbe nascondersi dietro al “ma se solo io lo faccio, non cambia nulla”. In realtà bisognerebbe ragionare come quando si legge la bolletta telefonica di casa, tante piccole voci da pochi centesimi l’una ma che alla fine, se sommate, danno un risultato ben più grande. Secondo lei è utile un approccio del genere?
Assolutamente utile perché i risultati ambientali sono il frutto di miliardi di comportamenti individuali. Questi possono essere diretti, ad esempio immetto in atmosfera CO2 semplicemente spostandomi con la mia automobile, e quindi posso decidere di fare quel tragitto con un’auto elettrica, o utilizzando un mezzo pubblico o addirittura andando in bicicletta. E poi esistono anche quelli indiretti, cioè legati alla produzione industriale di un determinato oggetto. Quando acquisto un abito, delle scarpe o del cibo, partecipo alle emissioni generate dalla produzione. Quindi come comportamento individuale, posso decidere di non avere 100 abiti nell’armadio o ad esempio di non cambiare il cellulare ogni sei mesi per pura moda. I comportamenti individuali sono fondamentali, siamo 7mld e mezzo sul pianeta e la scelta di ognuno fa la somma del nostro danno ambientale.
Elettrodomestici in generale, sistemi di riscaldamento e raffrescamento, come bisogna comportarsi nel loro utilizzo per non pesare ulteriormente sull’ambiente? Ci sono aziende che producono apparecchi veramente attenti all’ambiente? Viene in mente Daikin per esempio, che produce climatizzatori e pompe di calore con il gas refrigerante R32 a basso impatto ambientale.
Per risolvere i problemi ambientali, non abbiamo bisogno di meno tecnologia, anzi, dobbiamo migliorare quella imperfetta che crea i danni. Bisogna quindi scegliere dei prodotti che siano stati pensati per essere efficienti, consumare meno energia e quindi immettere in atmosfera meno emissioni possibili. Fortunatamente c’è una nutrita schiera di produttori che lavorano per questo obiettivo. In casa poi è fondamentale, significa abbattere i consumi e limare in maniera corposa quella grossa fetta di energia che viene consumata per riscaldamento, raffrescamento, elettrodomestici e illuminazione. Un cappotto termico sui muri o degli infissi efficienti, significano un vantaggio a lungo termine.
Dovrebbe essere naturale fare queste scelte, visto che avremmo un beneficio economico immediato, anche grazie alle leggi di sgravio fiscale per interventi del genere, e un beneficio ambientale. Eppure non c’è tutta questa diffusione. Dieci anni fa ho fatto a casa mia tutti questi interventi di efficientamento energetico, proprio per dimostrare che funziona e che si spende molto meno. Eppure sono sempre troppe le persone poco informate sull’argomento, quasi fosse un meccanismo psicologico contorto, a farci preferire una lucida auto nuova ai pannelli fotovoltaici.
Ma quale proiezione si augura di vedere in un futuro immediato? Due, tre o cinque gradi in più, è uno scenario drammatico?
Parlare del tempo che farà tra tre giorni è realistico, meno precisa sarà una proiezione previsione settimanale ma certamente se entriamo nel merito dei cambiamenti climatici, occorre ragionare secondo uno scenario a lungo termine, dell’ordine di un secolo. Scenario non vuol dire previsione precisa, giorno per giorno, ma una tendenza: significa che se non facciamo nulla, contenendo le emissioni, la temperatura aumenterà di 5 gradi, se invece facciamo qualcosa limiteremo l’aumento entro 2 gradi, quello che sostanzialmente prevede l’accordo di Parigi. Di fatto il danno c’è ma è meglio un danno piccolo, quello dei 2 gradi, che arrivare ai 5 gradi.
Per come la vedo io, abbiamo già saltato i paletti dei 2 gradi, non vedo segnali importanti di svolta. Vuol dire che quando davvero si inizieranno a contenere le emissioni, arriveremo a più 3 gradi. Significa ragionare su una media, quindi da qualche parte si avranno solo 3 gradi in più, da altre l’uragano e da altre ancora, anche 10 gradi in più. I nostri figli e nipoti, se la situazione non cambierà, avranno seri problemi. Provate a immaginare un aumento di temperatura del nostro corpo, c’è una bella differenza tra avere 37 o 40 gradi, si passa dalla normalità alla malattia. Per non parlare poi della fusione dei ghiacciai e conseguente aumento del livello del mare, che oggi cresce con un ritmo di 3 mm all’anno. Avremmo a fine secolo molte delle nostre città costiere sommerse. Mi auguro quindi che i segnali di una controtendenza siano dietro l’angolo, gli strumenti ci sono, manca la volontà.